"Non amo che le rose che non colsi."
Io le ricordo la frase di questa poesia.
Una poesia, che quando venne letta, emozionò entrambe.
Ma se davvero io fossi una rosa, lei ogni volta si dimentica che sono ricoperta di spine.
Anzi, fa finta di non saperlo o è convinta che io non le abbia.
Dice che non sono vuota.
Dice che ho tanto.
Dice che la faccio ridere.
Dice che vuole baciarmi.
Dice che sono tonta.
Io le voglio troppo bene, perché è tanto tonta anche lei.
E lei, che tanto sembrava far l'uomo sicuro e pieno di sé, con me diventa una fragile margherita lievemente capricciosa.
Ma non voglio distruggerla come faccio con quelle che crescono nei prati di primavera.
Lei è troppo speciale per staccarle i petali uno ad uno.
Lei non merita questo trattamento.
Però anche se l'avverto della mia crudeltà, della mia insensibilità, di ciò che sono diventata, lei mi abbraccia e mi dice che non è così.
Mi chiede che cos'ho, ma non s'arrabbia se sto zitta perché sa che delle volte non capisco nemmeno io cosa mi succede.
Lei mi abbraccia.
Mi coccola anche se l'unica cosa che vorrebbe è saltarmi addosso (a quanto pare).
E mi sopporta anche quando sto da sola, per le mie e allontano tutti.
Perchè sa che da un momento all'altro, la prendo per mano, la tiro verso di me, la stringo e le chiedo scusa.
E lei mi perdona sempre.
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